I
principi dell’economia circolare, dal riutilizzo alla riparazione e al riciclo, rappresentano
il futuro della moda (e non solo), la risposta più certa per il benessere delle
prossime generazioni. Quello dell’economia circolare, a differenza del modello
lineare, è un sistema che si propone di ridurre sprechi e rifiuti reinserendo
nel circolo produttivo materiali e articoli alla fine del loro percorso di
vita. La convinzione alla base di questo modello è che ogni oggetto nasca per
vivere più vite.
Perché è essenziale?
Il grafico qui sotto riportato mostra
l’Overshoot Day ossia il giorno dell’anno in cui si rileva il consumo tutte le risorse
prodotte dal pianeta, si tratta di un parametro che viene registrato dagli anni ’70 al 2023:
Quest’anno l’earth overshoot day è stato ipotizzato per il prossimo 2 agosto. Vuol dire che in tale data si stima che termineranno le risorse che il nostro pianeta riesce a produrre nell’arco di un anno e che quindi per il tempo restante del 2023 prenderemo le risorse “a prestito” sull’anno successivo, in pratica come se avessimo un pianeta e mezzo a disposizione invece di uno.
L'economia circolare si inserisce in questo contesto come una delle possibili soluzioni a cui guardare, e legati ad essa stanno
arrivando importanti contributi dai governi a livello mondiale, specie per
quanto riguarda il comparto moda: da gennaio 2022, infatti, in Italia è stato introdotto
l’obbligo di raccogliere separatamente i rifiuti tessili, legge che entrerà in
vigore entro il 2025 anche a livello europeo. Queste iniziative mirano ad
agevolare il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti per arrivare pian piano a
ridurre lo scarto al minimo indispensabile.
Altre iniziative di carattere legislativo e normativo riguardano
i due fattori abilitanti per l’economia circolare: la trasparenza e la
tracciabilità.
La legge AGEC in Francia,
nata con lo scopo di trasformare i modelli economici lineari in sistemi di
economia circolare, trova applicazione in diverse aree di intervento: diminuire l’uso della plastica, informare puntualmente i consumatori, ridurre lo
spreco a favore del riciclo, e rendere più trasparente e tracciabile la filiera
produttiva; la direttiva “Kreislaufwirtschaft” (legge tedesca sull’economia
circolare), si concentra soprattutto sulla separazione e il riciclaggio degli
scarti industriali e domestici; infine, l’introduzione del DPP (Digital Product
Passport), che cambierà la gestione e la consultazione delle informazioni relativi ai prodotti, a sostegno del principio dell’economia dei dati.
La Commissione Europea vuole accelerare la
transizione circolare, dando seguito agli obiettivi prefissati dal Green Deal. Il
DPP fornirà le informazioni sulla composizione dei prodotti che circolano sul
mercato Europeo, in modo da aumentare le possibilità di riutilizzo o riciclo.
Secondo il nuovo regolamento, il passaporto del prodotto deve:
1. Garantire che gli attori lungo la catena del valore, compresi i consumatori, possano accedere alle informazioni sul prodotto che interessa loro;
2. Migliorare la tracciabilità dei prodotti lungo la catena del valore;
3. Facilitare la verifica della conformità del prodotto da parte delle autorità competenti
4. Includere gli attributi di dati necessari per consentire la tracciabilità di tutte le sostanze pericolose durante il ciclo di vita dei prodotti interessati.
L’idea
è di fornire ai player della filiera tutti i dati necessari per comprendere al
meglio come smaltire correttamente eventuali rifiuti o dare nuova vita ai
prodotti. Probabilmente il DPP potrebbe finalmente evidenziare i numerosi casi di
“False Green Claim”, meglio conosciuti come casi di Greenwashing, aiutando il
consumatore ad orientare le proprie scelte di acquisto e premiando coerentemente quelle realtà produttive che con tanto impegno e determinazione cercano di abbracciare logiche di circolarità e sostenibilità.
Esistono già degli esempi virtuosi a cui ispirarsi. Qualche mese fa ho avuto la fortuna di
visitare uno stabilimento produttivo di un’azienda toscana. È stata proprio una
fonte di speranza nella trasformazione dell’industria. Il core business dell’azienda è la produzione di capi in lana, ma essa dedica
parte delle attività anche alla produzione tessile. Questa realtà toscana nasce
durante la seconda guerra mondiale, quando a fronte della necessità di nuovi
capi di abbigliamento non c’erano abbastanza materie prime. La peculiarità, infatti, è che non vengono utilizzate le materie prime vergini, bensì vengono usati gli scarti di produzione altrui oppure quelli provenienti da rifiuti tessili, raccolti e suddivisi per colore e composizione.
La lana (come anche alcuni altri materiali
naturali) ha una forte capacità rigenerativa, infatti le fibre sono abbastanza
forti e flessibili da poter sopportare non solo anni di utilizzo ma anche il
riciclo al 100% (e più volte). È stato
creato un processo unico che permette di distruggere il capo usato, creare una
“ricetta” di colore e mescolare fibre di lana di vare tonalità in modo da
arrivare al risultato desiderato del nuovo filato. Sicuramente una visione geniale: non solo viene preservata la lana vergine, ma si evita di utilizzare l’enorme
quantità d’acqua che normalmente servirebbe per tingere il filato.
Questa logica di circolarità, per esempio,
viene applicata da anni nel settore del mobile: partendo dall’esigenza simile –
usare al massimo le poche risorse a disposizione e produrre risultati
eccellenti. Alla fine la scarsità di
risorse può essere un’opportunità e aguzzare l'ingegno.
L’economia circolare non può che essere parte
della soluzione a lungo termine, ma bisogna prestare attenzione al fatto che
questo approccio prende in considerazione rifiuti futuri, non li previene. Il
volume sui rifiuti tessili è enorme, anche se spesso i consumatori fanno fatica
a percepirlo. Le donazioni di abiti fatte nel sud globale del mondo, non arrivano
ad essere riutilizzate per 3 motivi principali:
1. Non sono abiti utili in
quella regione del mondo;
2. la qualità degli abiti è bassa e non ne permette il
riuso;
3. Sono troppi rispetto alla domanda.
La maggior parte dei tessuti impiegati oggi non
sono di origine naturale; pertanto, da soli non potranno mai smaltirsi
nell’ambiente. Allo stesso tempo, però, se riciclati a fine vita, richiedono il
consumo minore delle risorse (rispetto alla produzione da zero). Inoltre,
dobbiamo sempre tenere conto della complessità dietro un approccio di produzione
di tipo "bio", perché la coltivazione di cotone, una fibra naturale, richiede un consumo
altissimo di acqua e utilizza molto terreno; quindi, per quanto naturale non garantisce l'impatto zero. Un altro aspetto riguarda, poi, le fibre sintetiche: al giorno
d’oggi non si conoscono a pieno le tecniche per il riciclo, e né per rendere
questi tessuti meno dannosi per l’ambiente (per esempio la depolimerizzazione
che evita il rilascio di microplastiche).
Che sia per i costi elevati, o per la difficoltà di reperire materie prime a basso impatto, la circolarità non è sempre facile da attuare. Inoltre, concentrarsi esclusivamente sul fine vita dei capi non è sufficiente, perché la circolarità richiede un approccio olistico che parte a monte della catena del valore, cioè per fare sì che il prodotto abbia una seconda vita, già nella fase di design è necessario considerare questo aspetto. Un prodotto in sé non potrà mai essere definito “sostenibile”, se è creato seguendo un modello di business che non lo è: l’aumento della circolarità non può essere direttamente proporzionale all’aumento della produzione, ma al contrario deve sopperire all’eccessivo utilizzo delle risorse messe a disposizione e allo stesso tempo non può essere una scusa per continuare a produrre come prima (“tanto poi lo ricicliamo”).
Una delle 5P dell’Agenda 2030 risponde alla
voce “Partnership”. Si, perché per concretizzare e valorizzare al meglio le
best practice dello sviluppo sostenibile e dell’economia green è necessario il
confronto continuo tra i vari stakeholder della catena del valore.
Le nuove priorità di
agilità, trasparenza, tracciabilità e dialogo continuo toccano vari tasselli
della Supply Chain ed è proprio da qui che nasce l’esigenza di un ecosistema
unico che consenta lo scambio di informazioni, approcci e ispirazioni che
conducano tutte allo stesso obiettivo: costruire modelli di business in linea
con le esigenze di sostenibilità per la salvaguardia del pianeta.
Deda Stealth, per esempio, è parte del Monitor
for Circular Fashion, una community attiva, concreta e variegata con alla base i
valori di collaborazione e condivisione, promosso da SDA Bocconi School of
Management di Milano. Tra i partecipanti al progetto troviamo brand,
produttori, fornitori e consulenti di standard per industrie e fornitori
tecnologici. Se normalmente tra i players della moda esiste una forma di competizione
per superare la sfida del cambiamento climatico serve la collaborazione di
tutti e la condivisione di buone pratiche e conoscenza.
Il "Monitor" affianca alle plenarie in aula un percorso itinerante che
permette ad ogni membro di approfondire e comprendere meglio la realtà di altri
player e condividere problematiche settoriali, proponendo soluzioni
sostenibili. Oltre al continuo scambio di informazioni e approcci, si nota un tentativo
concreto di inserire le pratiche di tracciabilità e circolarità nelle aziende.
Negli ultimi anni sono stati realizzati diversi progetti pilota che applicano i
principi di tracciabilità e circolarità, dimostrando che l’industria si può
trasformare. La sfida dei prossimi anni è di rendere questi
progetti pilota industrializzabili.
L‘urgenza della trasformazione è, ormai, chiara. L’industria necessita un’evoluzione dei processi di approvvigionamento e, non da meno, anche dei processi interni. Certamente parliamo di una sfida complessa e ambiziosa, ma con il supporto dello sviluppo tecnologico e della digitalizzazione le imprese possono applicare modelli produttivi a minor consumo di risorse e inglobare le pratiche di tracciabilità e trasparenza alle proprie filiere.
Per ulteriori approfondimenti sul tema consigliamo il webinar "Digital Product Passport, Incoming Legislation and the effects on Fashion Supply Chain" (disponibile qui).